mercoledì 19 dicembre 2007

Iceberg

Le fabbriche diventano centri commerciali: la trasformazione delle città industriali 2

I casi più importanti di trasformazione di aree dimesse nel nostro paese riguardano i due maggiori poli industriali del nostro paese:

Torino e Milano.

Torino, la realtà più moderna In Italia, la realtà più dinamica e maggiormente impegnata in un processo di modernizzazione economico e urbano è Torino. Il capoluogo piemontese ha compiuto e sta compiendo un processo di evoluzione da città puramente industriale a realtà più moderna, orientata verso l’Europa e basata sull’innovazione tecnologica (Torino è stata la prima città completamente cablata in Italia con una rete di comunicazione a fibre ottiche per imprese e cittadini). Allo sviluppo economico è strettamente collegato il rinnovamento dello spazio fisico. Una vasta serie di interventi sono stati progettati e realizzati con lo scopo di integrare la ricca storia cittadina, finora mai appieno valorizzata e pubblicizzata: si è provveduto al rinnovo del patrimonio infrastrutturale e alla costruzione di nuove opere riqualificando il centro storico e rivitalizzando le periferie, anche attraverso il raddoppio delle aree verdi e la valorizzazione dell’ambiente fluviale. In particolare si possono citare tre interventi: la riconversione del vecchio stabilimento automobilistico del Lingotto in una vasta area espositivo-congressuale dotata di moderni servizi, culturali e alberghieri; la trasformazione del vecchio polo siderurgico ormai inutilizzato in Environment Park, il primo parco tecnologico ambientale europeo dotato di uno spazio di 100 ettari; il raddoppio del Politecnico su un'area di 13 ettari con importanti investimenti per le attività di ricerca e formazione. Il processo di trasformazione di Torino è culminato con i lavori per le Olimpiadi invernali 2006 con la ristrutturazione di numerosi impianti, sportivi e non. I lavori principali hanno riguardato lo stadio Comunale (oggi Olimpico) completamente rinnovato anche all’interno con la costruzione al piano terra di un'area commerciale di 1.163 metri quadrati, e la riorganizzazione di tutti i servizi e gli uffici. All'esterno, invece, sono stati realizzati un parco olimpico ed un nuovo Palasport Olimpico, progettato dall'architetto giapponese Arata Isozaki progettato su quattro livelli e dotato di tribune mobili che rendono la struttura adattabile ad usi molto diversi. Un altro impianto imponente è l'Oval Lingotto, situato tra l'area del Lingotto e quella del Villaggio Olimpico, trasformato dopo i giochi olimpici in un'area espositiva e fieristica integrata nella struttura di Lingotto Fiere. Importanti lavori sono stati fatti infine per il famoso Palavela che in passato ha già ospitato numerose mostre ed esposizioni.

La prossima volta parlerò di Milano.

giovedì 29 novembre 2007

Meraviglie della natura 2



I LAGHI DELLA RIFT VALLEY

Marcello Bertinetti/Archivio White Star.

Sottoposto a un’evaporazione drastica, il livello delle acque del lago Natron variaa seconda delle stagioni, ma in generale non supera i 3 metri di profondità.

giovedì 22 novembre 2007

MERAVIGLIE DELLA NATURA

Yellowstone
Paesaggio lunare a Yellowstone.

(Foto: Olivier Grunewald)

Ho trovato questa foto e sono rimasto folgorato della sua bellezza ed ho voluto condividerla con il resto del mondo.

Le fabbriche diventano centri commerciali: la trasformazione delle città industriali 1

«Non dovremmo più avere periferie ma città. E’ la cosa più nobile che esiste, ma ha bisogno di uomini decisi». Sono le parole pronunciate da Renzo Piano in merito al suo nuovo progetto riguardante l’area Falck a Sesto San Giovanni, vicino Milano. Si tratta di un’ex area industriale di 1 milione e 300 mila metri quadri dove sorgevano le acciaierie Falck che diventerà una città con un parco di oltre un milione di metri quadri che si estenderà tra le rovine industriali.In territori già diffusamente e densamente edificati come quelli di molte città industriali europee le aree dismesse costituiscono un patrimonio di notevole interesse in quanto danno luogo ad una nuova risorsa di spazi, di vitale importanza, permettendo così di non utilizzare ulteriori aree libere e preservando, almeno in parte, zone agricole o boschive necessarie per l’economia e per l’ambiente. Il vantaggio più rilevante è dato dal fatto che le aree industriali dismesse sono in genere già servite dalle principali opere di urbanizzazione e sono spesso collocate in prossimità di impianti ferroviari o di tratte importanti della rete stradale che ne possono determinare una buona accessibilità, pertanto la restituzione di queste aree alla città può costituire un’occasione importante per il ridisegno del tessuto urbano locale. Si tratta in genere di aree periferiche, situate spesso sui confini comunali e comunque appartenenti a quella periferia così bisognosa di interventi di riqualificazione, di servizi e non ultimo di aree verdi. In relazione alle loro dimensioni e alla più o meno ampia accessibilità le ex aree industriali possono inoltre ospitare funzioni di particolare valore e interesse, anche di livello sovracomunale. La loro riqualificazione presenta tuttavia diverse problematiche di carattere ambientale, economico e normativo, che condizionano notevolmente l’attuazione degli interventi. In particolare, dal punto di vista ambientale, l’abbandono delle originarie aree industriali in favore di localizzazioni più accessibili non è stato sufficiente ad eliminare l’impatto negativo prodotto sull’ecosistema. In tutte le attività produttive cessate permangono infatti tracce di sostanze inquinanti di varia natura e pericolosità con conseguenti rischi di contaminazione di suolo, sottosuolo, acque di falda e di superficie. Per questo motivo è auspicabile che le aree industriali dismesse possano contribuire anche alla realizzazione di parchi urbani che, oltre a consentire la valorizzazione del paesaggio e la creazione di aree per lo svago, permettano di riequilibrare il rapporto uomo – ambiente migliorando così il microclima, l’equilibrio ossigeno – anidride carbonica, il contenimento del rumore.

mercoledì 24 ottobre 2007

SPIRALE DI FUMO

Dagli anni Trenta, Chicago è una delle città con i più bei grattaceli del mondo; ma perse il primato d’altezza quando la Sears Tower fu superata. Ora è pronta a riprenderselo per la categoria edifici residenziali con la Chicago Spire, 610 metri, 150 piani, ciascuno spostato di 2 gradi rispetto al sottostante, fino ad formare una rotazione di 360° con l’ultimo piano. Questo gioco di rotazione creerà una volta ultimato, uno ottimo rinforzo strutturale, una maggiore resistenza al vento e una forma elegante da vedere. L’architetto Santiago Calatrava immagina di riprodurre la spirale di fumo di un fuoco da campo accesso sul Chicago river dagli indiani.

mercoledì 19 settembre 2007

Alba 01


giovedì 30 agosto 2007

Astratismo 1


Immagine creata da me con Bryce.

Statua della Libertà (USA)

Lady Liberty
La Statua della Libertà, soprannominata Lady Liberty, è una enorme statua (93m da terra alla punta della fiaccola e 46m dalla superficie del piedistallo alla punta della fiaccola) che svetta all'entrata del porto del fiume Hudson dalla Liberty Island a New York City, come ideale benvenuto a tutti coloro che arrivano negli Usa. La scultura è di Frederic Auguste Bartholdi, mentre la struttura metallica è opera di Gustave Eiffel, il creatore dell'omonima torre parigina. Secondo alcuni, i progettisti della statua si sarebbero ispirati al famoso Colosso di Rodi, una delle Sette meraviglie del mondo.
La statua raffigura una donna che indossa una lunga toga, porta una corona e sorregge fieramente in una mano una fiaccola (un'ampia balconata per i turisti oltre che simbolo del fuoco eterno della libertà), mentre nell'altra stringe un libro recante la data del 4 luglio 1776 (anno dell'Indipendenza americana), mentre ai piedi vi sono delle catene spezzate (simbolo della liberazione dal potere del sovrano dispotico) e in testa vi è una corona, al cui interno vi è un ristorante, le cui sette punte rappresentano i sette mari e i sette continenti. La statua venne donata dalla Francia agli Stati Uniti per il festeggiamento del centenario dell'Indipendenza e fu, infatti, inaugurata nel 1886.Nel 1924 divenne monumento nazionale insieme all'isola sulla quale è posta.

giovedì 26 luglio 2007

Guggenheim Museum

Il Solomon R. Guggenheim Museum, che fa parte del cosiddetto Museum Mile, è ubicato a Manhattan, nell’Upper East Side, al n. 1071 della Fifth Avenue, tra la East 88th e la East 89th Street. Nel 1937 l’industriale del rame e collezionista Solomon R. Guggenheim, un ebreo di origine svizzera, istituì una fondazione finalizzata ad accogliere la sua collezione privata (la Guggenheim Collection of Non-Objective Paintings). Nel 1943 la baronessa Hilla Rebay von Ehrenwiesen affidò al celebre architetto Frank Lloyd Wright l’incarico di progettare per la Guggenheim Foundation (di cui era direttrice) una sede adeguata in grado di sostituire quella provvisoria in cui la preziosa collezione di arte astratta era ospitata dal 1939. I lavori di costruzione del museo ebbero inizio solo nell’agosto 1957, dopo numerosi diverbi sul progetto insorti tra Wright e il direttore della fondazione James Johnson Sweeney, succeduto nel 1952 alla baronessa Rebay. L’inaugurazione ebbe luogo nell’ottobre del 1959, sei mesi dopo la scomparsa dell’architetto Wright. Ulteriori spazi espositivi (tra cui la Tower Galleries, un edificio a dieci piani eretto dietro la costruzione originaria) furono ottenuti in seguito a lavori di ampliamento e di ristrutturazione diretti dall’architetto Charles Gwathmey e ultimati nel 1993. L’edificio appare esternamente come una spirale rovesciata in cemento bianco a quattro anelli che sale fino a una cupola di vetro a ca. 30 m d’altezza; all’interno la spirale si apre su di un vasto spazio centrale e viene percorsa dal visitatore partendo dall’alto e scendendo per una rampa elicoidale (lunga 432 m e con un’inclinazione del 3%) che si snoda lungo un spazio espositivo composto da oltre 70 nicchie e piccole gallerie in cui sono in mostra le opere d’arte del museo. La costruzione viene illuminata dalla luce naturale proveniente dalla cupola o da altre forme di luce indirette, sistemate lungo la rampa, mentre alcune delle opere esposte sono illuminate individualmente. La costruzione ospita anche un auditorium, una rotonda (dove al venerdì e al sabato, dalle 15.00 alle 20.00, si tengono le sessioni del World Beat Jazz), una caffetteria e un negozio di libri d’arte. Il patrimonio fisso del museo, illustrato da un ampio catalogo a disposizione dei visitatori, è costituito da opere d’arte provenienti da cinque grandi collezioni private: la Guggenheim Collection, la Tannhauser Collection (offerta dal mercante d’arte tedesco Justin K. Thannhauser), la collezione di dipinti espressionisti tedeschi di Karl Nierendorf, la raccolta di dipinti e di sculture dell’avanguardia storica di Katherine S. Dreier e la collezione di Minimal Art americana degli anni Sessanta e Settanta del conte Giuseppe Panza di Biumo; a esse si devono aggiungere le successive acquisizioni dei direttori e dei funzionari del museo, come le opere di Roy Lichtenstein e di Joseph Beuys. In tutto il Guggenheim possiede 5.000 tra dipinti, sculture e lavori su carta del periodo compreso tra l’Impressionismo e i giorni nostri, un cospicuo patrimonio che può venire esposto solo parzialmente e a periodi alterni. Nel Guggenheim, infatti, si organizzano annualmente almeno cinque o sei mostre straordinarie che, per la loro ampiezza e importanza, tendono a occupare tutto o quasi lo spazio espositivo disponibile. Tra i pezzi più significativi che appartengono al patrimonio del museo vanno ricordate senz’altro la più grande collezione al mondo delle opere di Kandinsky (Quadro chiaro n. 188, 1913; Autunno, 1914; Inverno, 1914; Due lati rossi n. 437, 1928), oltre a opere di Henri Rousseau (Artiglieri, 1895; Una partita a calcio, 1908), di Delaunay (Tour Eiffel e Saint Séverin, 1912), di Braque (Violino e paletta; Pianoforte e liuto, 1910), di Picasso (Suonatore di fisarmonica, 1911; Mandolino e chitarra, 1924), di Léger (Fumatore, 1911; La grande parata, 1954), di Chagall (Parigi attraverso la finestra, 1913; Il violinista verde, 1918), di Marc (Cavalli dormienti, 1913), di Mondrian (Composizione 7, 1913), di Kokoschka (Il cavaliere, 1915), di Feininger (Gelmeroda IV, 1915), di Modigliani (Nudo, 1917; Pullover giallo, 1919), di Klee (Danza, mostro, al suono della mia canzone, 1922; Rivoluzione del viadotto, 1937), di Rauschenberg (Red Painting, 1953), di Pollock (Ocean Greyness, 1953) e di Dubuffet (Porta con alghe, 1957; Nunc Stans, 1965). Del patrimonio del Guggenheim fa parte anche l’ultima opera dell’artista pop Andy Warhol, una serie di stampe con automobili Mercedes. Un’esposizione permanente in un settore del museo al di fuori della rampa centrale è dedicata alla Tannhauser Collection, comprendente 75 opere impressioniste e post-impressioniste tra cui dipinti di Daumier (Il giocatore di scacchi, 1963), Pissarro (Les coteaux de l’Hermitage à Pontoise, 1867), Renoir (Donna con pappagallo, 1872 ca.), Manet (Davanti allo specchio, 1878), Cézanne (Madame Cézanne, 1885-1887 e L’orologiaio, 1895-1900), Van Gogh (Montagne presso Saint-Rémy, 1889), Toulouse-Lautrec (Au Salon, 1893), Picasso (Le moulin de la Gallette, 1900; Due arlecchini, 1905; Tre bagnanti, 1920) e sculture di Degas (Ballerina, 1882-1885), Brancusi (Sorcière, 1916), Archipenko (Medrano, 1915) e Arp (Crescere, 1938). Esposizioni complementari e mostre di opere di nuovi artisti possono essere visitate presso il Guggenheim Museum SoHo, al n. 575 di Broadway all’angolo con la Prince Street. Questa “filiale” del museo di Fifth Avenue, inaugurata nel 1992, ha sede in un ex magazzino della fine dell’800 trasformato dall’architetto Arata Isozaki in un ampio spazio espositivo di ca. 3.000 metri quadrati. Di recente il museo ha subìto alcuni lavori di ristrutturazione (completati nel 1996) che lo hanno trasformato, anche grazie alla sponsorizzazione dell’ENEL italiana e della Deutsche Telekom, in uno spazio destinato all’esposizione di opere e apparecchiature ispirate alla più moderna tecnologia informatica e multimediale.

martedì 17 luglio 2007

Progetto R&S - FUEL CELLS - H2&DIGEN

Soggetti attuatori
1. CRS4 surl – Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna
2. Consorzio Pisa Ricerche
3. CNR-IRC Napoli
4. Università degli Studi di Genova
5. EniTecnologie spa (San Donato Milanese)
6. Enel Produzione spa
7. Riello spa (Legnago)
8. Università degli Studi di Napoli

Descrizione
L'idea di fondo di questo progetto è quella di integrare sistemi di produzione di idrogeno innovativi con impianti di generazione termoelettrica alimentati con combustibili fossili/biomasse o sistemi di termovalorizzazione di residui/rifiuti. Si tratta di sviluppare ricerche e sperimentazioni che consentano di realizzare sistemi di produzione di idrogeno e separazione di CO2 presso siti che impieghino combustibili tradizionali e non, con l'obiettivo di ridurre al minimo il costo di produzione di questo nuovo vettore energetico e di minimizzare l'impatto ambientale. Un elemento necessario per sviluppare quest'idea è la determinazione dell'intervallo di purezza dell'idrogeno prodotto che influenza le prestazioni dei sistemi finali che lo utilizzano. Noto il livello di purezza, il punto fondamentale da studiare è l'integrazione tra il sistema di produzione di idrogeno e i sistemi che tradizionalmente impiegano i combustibili di partenza, studi che permettono di selezionare i processi più idonei e/o sviluppare nuovi processi e nuove tecnologie di produzione particolarmente economiche ed ambientalmente compatibili. Per quanto riguarda la purezza è necessario valutare il comportamento dei diversi componenti destinati all'impiego dell'idrogeno. In linea di principio i sistemi che possono utilizzare idrogeno nella generazione elettrica distribuita sono le microturbine, le celle a combustibile, i sistemi termofotovoltaici e i motori Stirling. Mentre per le celle, stante l'attuale tecnologia, è necessaria un'elevata purezza, per le microturbine e gli altri microgeneratori questa caratteristica è meno stringente. Va comunque considerato che la combustione di idrogeno nelle turbine a gas produce ossidi di azoto in quantità maggiori che nella combustione a metano per cui vengono investigati, per raggiungere l'obiettivo zero emission, il processo di combustione catalitica, nonché quegli accorgimenti (staging, premiscelazione) propri delle combustione low-NOx.
Le attività saranno prevalentemente di tipo sperimentale e saranno svolte su impianti di piccola taglia già esistenti o da realizzare ad hoc impiegando strumentazione e sistemi di analisi specifici. L'attività sperimentale sarà affiancata da una consistente modellistica matematica tesa a simulare i processi per approfondirne gli aspetti più critici e valutare le problematiche della dinamica e dello scaling up dei processi.
Il progetto si sviluppa secondo tre aree:
A) Produzione dell'idrogeno,
B) Utilizzazione dell'idrogeno per la generazione elettrica distribuita e
C) Valutazioni Tecniche Economiche e Ambientali.

Obiettivi
Uno scopo del progetto è quello di integrare sistemi di produzione di idrogeno innovativi con impianti di generazione termoelettrica alimentati con combustibili fossili/biomasse o sistemi di termovalorizzazione di residui/rifiuti. Questo scopo sarà perseguito sviluppando ricerche e sperimentazioni che consentano di realizzare sistemi di produzione di idrogeno e separazione di CO2 presso siti che impieghino combustibili tradizionali e non. Obiettivo finale del progetto è quello di ridurre al minimo il costo di produzione di questo nuovo vettore energetico, l'idrogeno, e di minimizzare l'impatto ambientale.

Risultati attesi
1. Sistemi integrati di produzione dell'idrogeno con impianti di generazione termoelettrica.
2. Sistemi di purificazione dell'idrogeno ottenuto da processi di reforming.
3. Modelli di analisi dei dispositivi combustivi dell'idrogeno a bassa temperatura.
4. Modelli di analisi dei dispositivi di cleaning dell'idrogeno.

Finanziamenti
MIUR – Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca (FISR).

Tempi di realizzazione
Tre anni.

Data inizio: 1 gennaio 2006
Data fine: 31 dicembre 2007.

venerdì 13 luglio 2007

FESTARCH Il Primo Festival di Architettura in Sardegna

Il primo FESTARCH della Sardegna si è tenuto a Cagliari per tre giorni (29/30 giugno e 1° luglio) presso la ex-Manifattura Tabacchi e al Lazzaretto di Sant’Elia (con una appendice nella Facoltà di Ingegneria), e un’altra parte quasi in contemporanea ad Alghero (il 2 luglio), nella Facoltà di Architettura, per parlare di architettura, del paesaggio e del futuro del mondo.
Il Festiva ha visto la partecipazione di architetti, progettisti, fotografi, artisti e filosofi tra i più importanti della scena internazionale, con la presenza di ben quattro premi Pritker:
Rem Koolhaas, Paulo Mendes da Rocha, Zaha Hadid e Jacques Herzog.
Se devo essere onesto, questo primo Festival ha disilluso molto le mie aspettative, sopratutto perché hanno concentrato troppi eventi in pochi giorni.
Per esempio, il 29, il giorno dell’apertura all’ex-Manifattura c’erano quattro eventi in contemporanea:
1° Sala: presentazione dell’evento e proiezione della storia della ex-Manifattura Tabacchi; confronto tra centri europei dedicati alla cultura e alla creatività nella trasformazione e utilizzo di alcune aree industriali dismesse in alcune parti dell’Europa;
2° Sala: incontro con il teorico francese del paesaggio Gillies Clément;
3° Sala: conversazione con architetto giapponese Kengo Kuma, che racconta alcuni progetti recenti tra Cagliari e Tokyo;
4° Sala: mostra fotografica e incontro con alcuni dei fotografi più celebri italiani.

Quindi una persona non poteva seguire più di un evento per volta, dovendo scegliere una presentazione e rinunciando alle altre (a malincuore da parte mia ).
Non parliamo poi dell’enorme spesa (oltre 500.000 €) che è stata fatta per il rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio dei prestigiosi ospiti a questo Festival.
Per chi volesse vedere il sostanzioso programma della manifestazione: http://www.festarch.it/

Carta della Sardegna sotto un'intonaco

Nella cattedrale di Cagliari il mese scorso è stata scoperta, sotto un'intonaco un carta dell'isola risalente al 1500. Ne parliamo qui sul blog perchè il merito di averla scoperta va ad un nostro docente universitario, il Prof. Giampaolo Marchi, docente del corso di Estimo della facoltà di Ingegneria Edile (e Architettura), nell'università di Cagliari. Il 14 Giugno ha tenuto una conferenza nella quale ha raccontato il suo stupore quando durante dei lavori, sotto un'intonaco è comparso l'affresco: "Mi trovavo in Cattedrale per motivi estranei a questa ricerca e mai avrei potuto immaginare una sorpresa simile...L’affresco è da attribuire a Geronimo Ferra Pintor e risale al periodo tra il 1570 e 1576, durante la reggenza del Vicerè Conte d’Elda. Tra gli elementi indicativi per la datazione compare anche lo scudo di Filippo II". Prof. Marchi ha poi continuato con la sua esposizione: "Le fonti documentarie fanno spesso riferimento alla carta, che è stata oltretutto cercata a più riprese dallo stesso Filippo II, nelle convinzione fosse stata realizzata su un supporto cartaceo. Invece, la sorpresa: è un vero e proprio dipinto. Ecco il motivo per cui era introvabile negli archivi. c’è sempre stata Chissà quante persone l’avranno osservata distrattamente, senza comprenderne o intuirne il significato e il valore....Purtroppo è solo una parte della carta e la lettura non è immediata. Il resto dell’opera è stato eliminato in seguito all’inserimento delle bifore". Nell'articolo di M. Lampis (pubblicato il 15 giugno 2007 su L'unione Sarda), dal quale abbiamo preso la dichiarazione di Marchi e la foto a lato, c'è dell'altro. C'è una scoperta nella scoperta: sembra che dietro l’affresco si nasconda un altro dipinto raffigurante la cattedrale. Molto presto Marchi pubblicherà il suo studio e potremmo leggere in modo approfondito questi suoi nuovi studi.

venerdì 19 gennaio 2007

Mile High Tower

Negli archivi della Fondazione Wright sono stati trovati molti progetti non realizzati, tra cui la “Mile High Tower” ( La Torre alta un miglio), del 1956. Essa sarebbe stata la più alta mai costruita fino quel periodo; cioè quattro volte l’Empire State Building di New York, e anche dei nostri tempi.
Doveva raggiungere l’altezza di 1610 metri con 528 piani. La sua forma la si potrebbe paragonare ad una freccia che si eleva oltre la nostra umana vista.
Erano previsti eliporti per gli elicotteri che avrebbero trasportato avanti e indietro i visitatori o i magnati, un parcheggio a più livelli per la maggior parte dei comuni mortali. Tale opera irrealizzabile per quei tempi, ma anche tuttora, con tutto il progresso scientifico e tecnologico, darebbe del filo da torcere a chiunque progettista ed società di costruzioni.
Wright auspicava, con tale torre, un numero ridotto di grattacieli per una vita migliore e più vivibile nelle superfici non edificate ed utilizzate come aree verdi. L’edificio sarebbe dovuto sorgere dove oggi è Lincoln Park, lungo la riva del Lago Michigan, a circa 3,2 km dal centro della città.